Project Management: L'importanza di imparare dagli errori senza paura

 

Articolo scritto da Giorgio Beltrami, Autore, Project Manager (PMP) certificato, Professore a contratto Univ. Bicocca di Milano e nella nostra Reti Academy.

 

Project Management: come vengono percepiti gli errori?

Nel suo libro, “Image”, Morgan Gareth utilizza il processo di avvicinamento della mano ad un oggetto come metafora di un procedere (per noi impercettibile) per “tentativi ed errori” che, generando un costante adattamento e apprendimento, conduce l’arto ad afferrare quanto desiderato. Lo stesso autore parla anche di una forma di apprendimento definita a “doppio circuito”. Tale metodo, innanzi ad un errore che genera un problema, attiva un vero e proprio “circuito secondario” che prevede la messa in discussione delle prassi o delle procedure consolidate al fine di ridefinirle e creare così le condizioni ideali ove inserire la soluzione adottata.

Gli autori poi di “Creative confidence” affermano come la più grande minaccia ai processi creativi sia la paura di fallire. Ma la complessità delle sfide attuali e la costante instabilità del contesto contemporaneo richiedono di acquisire un genere di fiducia che consiste nel sentirsi a proprio agio nelle situazioni di incertezza. Anzi le teorie di Nassim Taleb sull’antifragilità ci spingono a vedere nelle turbolenze una fonte di energia da volgere a proprio vantaggio per evolvere e trasformarsi, invece di attendere in modo passivo che le intemperie passino e ci restituiscano ad una mera restaurazione dello status precedente.

E’ poi nota a molti la contrapposizione tra “growth mindset” e “fixed mindset” rappresentata da due profili posti l’uno di fronte all’altro. Di questa nota immagine due affermazioni contrapposte balzano all’occhio: “i fallimenti creano opportunità e crescita” (growth) e “fallire è un limite alle mie abilità” (fixed).

Si può concludere dunque che l'atteggiamento denunciato anche da Julio Velasco che in uno dei suoi tanti speech, ovvero quello dello "scarica barile"  in cui ci si  rimpalla la responsabilità degli errori che hanno portato al fallimento senza il minimo accenno ad una pur superficiale analisi della catena di errori cha hanno compromesso il risultato, produce un’inutile caccia al colpevole, genera comodi alibi ed impedisce di concentrarsi sulla soluzione per evitare il ripetersi degli errori già commessi.

Quando si gestiscono progetti, anche ad un elevato livello di complessità, non è strano né inconsueto incorrere in errori che possono portare al fallimento di una parte del progetto o del progetto intero. Errori di definizione dei requisiti, di stime di tempi e costi, di definizione dell’ambito, di struttura del team di progetto etc. (Qui trovi anche un approfondimento sul Risk Management).

Dato che il project management è un’attività “artigianale”, nel senso più nobile del termine, si potrebbe concludere che il Project Manager più bravo sia quello che sbaglia meno. Niente di più errato.

Il Project Manager più bravo è quello che impara dagli errori e lavora per creare una cultura dell’errore matura, in cui l’errore non è il prodromo al fallimento o ad una sentenza negativa inappellabile, ma l’occasione per imparare, apprendere e migliorarsi. L’errore è un elemento contemplato, fa parte degli elementi che compongono il paesaggio, è in qualche modo fisiologico e quindi in quanto tale ci si deve preparare ad affrontarlo, gestirlo e tramutarlo in opportunità di crescita.

Project Management: Come apprendere dall'errore nel contesto Waterfall e Agile

Dopo aver definito il giusto approccio per gestire l'errore, vediamo cosa possiamo agire concretamente con il proprio team . Sia che si parli di Project Manager, ambito waterfall, che di Scrum Master e Developement Team, ambito agile, gli strumenti per apprendere dagli errori sono noti e accompagnano il procedere delle fasi o degli sprint di progetto.

Nel contesto Waterfall, le lessons learned costituiscono certamente uno strumento chiave per una rilettura critica delle attività di progetto finalizzata alla crescita e all’apprendimento di tutto il team di progetto. Incontrando diversi gruppi di progetto, nel migliore dei casi, mi sento spesso dire: “si facciamo le lessons learned ma non scriviamo nulla, non ne lasciamo traccia”. Nel peggiore dei casi mi dicono “non le facciamo mai, però dovremmo…”. Vi è poi chi dice “si io le faccio, per conto mio, nella mia testa”.

Tutte modalità che, seppur in gradi diversi, non consentono un vero apprendimento organizzativo e individuale, e non creano le condizioni per la condivisione dell’esperienza acquisita. Anzi determinano una perdita di know how e di capitale informativo che potrebbe invece essere utile per impostare al meglio progetti futuri. Non è un caso che il PMI riconosca nelle lessons learned un elemento di input a diversi processi o attività di gestione progetto.

Se parliamo invece di Agile l’attenzione si sposta su “sprint review” e “sprint retrospective”. Il primo riguarda i deliverables dello sprint mentre il secondo il team e quanto è accaduto durante lo sprint.
Per il nostro tema quello che ci interessa è lo “sprint retrospective” quale momento in cui ci si pone domande come: “cosa è andato bene?”, “cosa non è andato bene?”, “cosa dobbiamo fare per migliorare?”. Una chiara occasione per apprendere dall’esperienza e, in particolare, da quanto non è andato come avrebbe dovuto o, appunto, dagli errori commessi durante lo sprint.

Sia il Project Manager sia lo Scrum Master devono impegnarsi a garantire condizioni che consentano ai partecipanti alle “lessons learned” o agli “sprint retrospective” di condividere errori ed “àncore” che hanno frenato l’efficacia del team e messo a repentaglio il progetto, o una sua fase, e i “motori” che invece ne hanno agevolato l’efficacia e l’efficienza.

Sia in Agile sia in ambito Waterfall è auspicabile che “retrospective” e “lessons learned” trovino una verbalizzazione che consenta di fissare e far circolare l’esperienza.

Un consiglio utile dunque per tutti coloro che hanno un ruolo guida di un team di progetto (Project Manager o Scrum Master) è quello di operare in modo deciso e costante per creare all’interno dei loro team un ambiente “safe (sicuro). Un ambiente cioè dove le persone non solo non abbiano timore, ma siano incoraggiate a esporre il loro originale e professionale punto di vista, senza temere giudizi o discriminazioni di sorta. Ciò genera confronto, apprendimento e crescita per tutti.

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