Brand reputation e valore di mercato
Abbiamo accennato all’importanza della brand reputation: secondo l’indagine The State of Corporate Reputation in 2020: Everything Matters Now, firmata dall’agenzia internazionale di pubbliche relazioni Weber Shandwick, la reputazione aziendale è considerata dagli oltre 2.000 manager intervistati un bene inestimabile che, inoltre, ha un impatto notevole sui profitti e sul valore di mercato dell’organizzazione.
Addirittura, per i manager che hanno partecipato alla survey, la reputazione conta per il 63% sul valore di mercato che l’azienda ha. Tra i driver strategici che accrescono il successo delle imprese, ben cinque sono direttamente collegati proprio alla brand reputation: qualità dei prodotti e dei servizi offerti, qualità del personale, qualità del customer service, sicurezza di prodotti o dei servizi, rispetto per la privacy degli impiegati e dei clienti.
Curare la propria brand reputation è, ormai, anche una questione di mercato: Essa impatta del 63%.
Business continuity e brand reputation vanno a braccetto: ecco perché
Risulta quindi difficile slegare qualità da business continuity, soprattutto per le aziende che operano offrendo servizi digitali o che basano pesantemente la loro operatività sulle infrastrutture informatiche o, ancora, che necessitano di strumenti di customer care digitali e integrati.
Non da meno, troppa rilassatezza e poca attenzione alla protezione dei dati di clienti e impiegati porta altrettanto rapidamente al fallimento. Come ripeteva il celebre finanziere Warren Buffet, “servono 20 anni per costruire una reputazione ma bastano cinque minuti per rovinarla”.
Non importa se il danno di immagine è dovuto a inefficienze proprie, interne all’azienda, o se è derivata da cause esterne. Quando il cliente si accorge del disservizio e questo non viene gestito rapidamente o nel modo corretto, tutto il resto passa in secondo piano (ma c'è un modo per riuscire a diminuire il malcontento e, anzi, utilizzare questi momenti per mettere in luce la propria resilienza in casi di problemi. Come? scoprilo con l'articolo Business Continuity: come rendere resiliente l'impresa).
È notizia di questi giorni che uno dei più grandi datacenter europei, Ovh con sede a Strasburgo, abbia preso fuoco rendendo inaccessibili migliaia di siti web. Si tratta di un tipico caso di disservizio esterno, non imputabile all’azienda stessa: ma credete che i clienti siano stati meno clementi di fronte al problema?
Certamente no ma, in questi casi di forza maggiore, è necessario che l’azienda intervenga immediatamente, perché il nesso tra business continuity e brand reputation è forte e ha effetti immediati. A maggior ragione quando il problema era facilmente prevedibile, cosa non rara.
È sempre l’indagine di Weber Shandwick a metterlo in evidenza: oltre il 75% dei manager che hanno dovuto affrontare crisi reputazionali ha riconosciuto, infatti, che le criticità affrontate erano prevedibili.
Perché allora esporre il maggior asset valoriale della propria azienda a una tempesta digitale per non aver tutelato la propria business continuity? Poiché possono bastare un tweet o un post su Facebook per rovinare 20 anni di attività, meglio non nascondere la testa sotto la sabbia in caso di problemi.
Se la business continuity viene meno, per evitare ripercussioni sulla propria brand reputation è necessario attivarsi immediatamente, trasmettendo ai propri stakholder un senso di onestà e di trasparenza, assumendosi tutte le responsabilità. Quindi risolvendo velocemente i problemi.